Il contratto prosegue se il locatore tiene un comportamento contrario alla volontà di disdetta

La rinnovazione tacita del contratto di locazione ai sensi dell’art. 1597 c.c. postula la continuazione della detenzione della cosa da parte del conduttore e la mancanza di una manifestazione di volontà contraria da parte del locatore, cosicché, qualora questi abbia manifestato con la disdetta, la sua volontà di porre termine al rapporto, la suddetta rinnovazione non può desumersi dalla permanenza del locatario nell’immobile locato dopo la scadenza o dal fatto che il locatore abbia continuato a percepire il cannone di locazione senza proporre tempestivamente azione di rilascio, occorrendo invece un suo comportamento positivo, idoneo ad evidenziare una nuova volontà contraria a quella precedentemente manifestata per la cessazione del rapporto. È quanto si legge nell’ordinanza della Cassazione del 18 gennaio 2021, n. 708.

Anticipazioni su ricevute bancarie in conto corrente: opera la compensazione solo in caso di espresso patto

La banca ha diritto a compensare il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse, con il proprio credito verso lo stesso cliente conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente solo se la convenzione relativa all’anticipazione contiene una clausola attributiva del diritto di incamerare le somme riscosse in favore della banca (c.d. patto di compensazione). Così si è espresso il Tribunale di Reggio Emilia con la sentenza del 20 gennaio 2021.
 
Un’ampia ricognizione della giurisprudenza in materia è stata effettuata dalla sentenza della Cassazione 10 aprile 2019, n. 10091, la quale ha ribadito che, «in tema di anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto corrente, se le relative operazioni siano compiute in epoca antecedente rispetto all’ammissione del correntista alla procedura di amministrazione controllata, è necessario accertare, qualora il fallimento (successivamente dichiarato) del correntista agisca per la restituzione dell’importo delle ricevute incassate dalla banca, se la convenzione relativa all’anticipazione su ricevute regolata in conto contenga una clausola attributiva del diritto di "incamerare" le somme riscosse in favore della banca (c.d. "patto di compensazione" o, secondo altra definizione, patto di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto).
 
Solo in tale ipotesi, difatti, la banca ha diritto a "compensare" il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito, verso lo stesso cliente, conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente, a nulla rilevando che detto credito sia anteriore alla ammissione alla procedura concorsuale ed il correlativo debito, invece, posteriore».
 
Più recentemente, la Corte di Cassazione ha evidenziato che «il collegamento negoziale e funzionale esistente tra il contratto di anticipazione bancaria ed il mandato all’incasso con patto di compensazione, che consente alla banca di incamerare i riversare in conto corrente le somme derivanti dall’incasso dei singoli crediti del proprio cliente nei confronti di terzi, dando luogo ad un unico rapporto negoziale, determina l’applicazione della c.d. compensazione impropria tra i reciproci debiti e crediti della banca con il cliente e la conseguente inoperatività del principio di “cristallizzazione” dei crediti, rendendo, pertanto, del tutto irrilevante che l’attività di incasso della banca sia svolta in epoca successiva all’apertura della procedura di concordato preventivo» (così, Cass. 15 Giugno 2020, n. 11524).
 
Assume dunque valenza dirimente la sussistenza nella convenzione relativa all’operazione di anticipazione di un pactum de compensando anteriore alla domanda di ammissione alla procedura di concordato, giacché la conclusione di un previo patto di compensazione fra le parti al momento della erogazione dell’anticipazione stessa, con facoltà per la banca di incamerare la relativa somma, giustifica, anche in seguito alla successiva presentazione della domanda di ammissione del debitore al concordato, la compensazione del debito della banca di rimessione della somma ricevuta dal terzo con il proprio credito da anticipazione, a nulla rilevando che detto credito sia anteriore alla ammissione alla procedura concorsuale ed il correlativo debito, invece, posteriore.
 
Nella fattispecie al centro della controversia esaminata dal Tribunale di Reggio Emilia, non vi è tuttavia prova dell’esistenza di una convenzione relativa all’anticipazione su ricevute regolata in conto, che contenga una clausola attributiva del diritto della banca di incamerare le somme riscosse a titolo di compensazione per il proprio credito. Pertanto, il Giudice ha condannato l’istituto di credito a restituire alla società in concordato la somma affluita sul conto corrente del debitore dopo la pubblicazione sul Registro delle Imprese del ricorso prenotativo di concordato, non potendo operare alcuna compensazione con il credito della banca per la restituzione degli importi messi a disposizione del correntista sulla base del contratto di anticipazione su effetti commerciali.

Ampliata la fascia di reddito per essere ammessi al gratuito patrocinio

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 gennaio 2021, n. 24 il decreto 23 luglio 2020 del Ministero della Giustizia concernente l’adeguamento dei limiti di reddito per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
 
 
È stato adottato lo scorso 23 luglio il decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, con cui è stato aggiornato ad euro 11.746,68 l'importo indicato nell'art. 76, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.
 
L’adeguamento è previsto e disciplinato dall'art. 77 del testo unico testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia che prevede che ogni due anni vengano aggiornati i limiti di reddito per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione alla variazione, accertata dall'Istituto nazionale di statistica, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatesi nel biennio precedente.

Danno biologico micropermanenti e non necessarietà dell'accertamento strumentale

Cassazione civile, sez. VI-3, ordinanza 28 settembre 2020, n. 20339

Risarcibile il danno da micropermanenti anche in assenza di riscontri strumentali

Non l'assenza di riscontri diagnostici strumentali impedisce il risarcimento del danno alla salute con esiti micropermanenti, ma piuttosto l'assenza di una ragionevole inferenza logica della sua esistenza stessa, compiuta sulla base di qualsivoglia elemento probatorio od anche indiziario, purché in quest'ultimo caso munito dei requisiti di cui all'art. 2729 c.c. A confermarlo è la Cassazione con ordinanza n. 20339 del 28 settembre 2020.images

 

E’ stato ripetutamente affermato in giurisprudenza che il danno alla salute può essere provato con fonti di prova diverse dai referti di esami strumentali e che non vi sono limiti normativamente imposti alla risarcibilità del danno. Ciò che è indispensabile, e trova conferma nelle norme indicate nell'epigrafe del mezzo impugnatorio, è che il risarcimento di qualsiasi danno (e non solo di quello alla salute) presuppone che chi lo invochi ne dimostri l'esistenza "al di là di ogni ragionevole dubbio"; per contro, non è nemmeno pensabile che possa pretendersi il risarcimento di danni semplicemente ipotizzati, temuti, eventuali, ipotetici, possibili, ma non probabili. Tale conclusione trova fondamento dal punto di vista letterale nella definizione normativa di danno biologico, essendo tale solo quello "suscettibile di accertamento medico legale", cioè quello la cui esistenza sia dimostrabile non già sulla base di mere intuizioni, illazioni o suggestioni, ma sulla base di una corretta criteriologia accertativa medico-legale. Tale criteriologia non si limita ovviamente a considerare solo la storia clinica documentata della vittima.

Essa ricorre, altresì, all'analisi della vis lesiva e della sintomatologia, all'esame obiettivo, alla statistica clinica, tant'è vero che un corretto accertamento medico-legale potrebbe pervenire a negare l'esistenza di un danno permanente alla salute (o della sua derivazione causale dal fatto illecito) anche in presenza di esami strumentali dall'esito positivo (come nel caso d'una frattura documentata radiologicamente, ma incompatibile con la dinamica dell'infortunio per come emersa dall'istruttoria); così come, all'opposto, ben potrebbe pervenire ad ammettere l'esistenza d'un danno permanente alla salute anche in assenza di esami strumentali, quando ricorrano indizi gravi, precisi e concordanti, ai sensi dell'art. 2729 c.c., dell'esistenza del danno e della sua genesi causale".

Alla luce dei rilievi che precedono, deve darsi in questa sede continuità ai precedenti giurisprudenziali, ribadendo che l' accertamento del danno alla persona non può che avvenire servendosi della rigorosa applicazione dei criteri medico-legali fissati da una secolare tradizione: e dunque l'esame obiettivo (criterio visivo); l'esame clinico; gli esami strumentali.

Il Tribunale non si è attenuto a tali principi, al contrario, ha negato che un danno micropermanente possa essere accertato e quindi risarcito in assenza di diagnostica strumentale, ritenendo di condividere la consulenza tecnica nella quale si affermava che i danni permanenti lamentati fossero insuscettibili di accertamento strumentale. Tale valutazione ha effettivamente violato l'art. 138 cod. ass., perché ha escluso la risarcibilità d'un danno "suscettibile di accertamento medico legale", sol perché quell'accertamento era stato compiuto senza l'ausilio di indagini strumentali.

Ma, per quanto detto, non l'assenza di riscontri diagnostici strumentali impedisce il risarcimento del danno alla salute con esiti micropermanenti, ma piuttosto l'assenza di una ragionevole inferenza logica della sua esistenza stessa, compiuta sulla base di qualsivoglia elemento probatorio od anche indiziario, purché in quest'ultimo caso munito dei requisiti di cui all'art. 2729 c.c.

 

Risarcibile il danno al terzo trasportato che non indossava le cinture

Ove la circolazione sia avvenuta senza che il trasportato abbia allacciato le cinture di sicurezza, si verifica un'ipotesi di cooperazione nel fatto colposo e, pertanto, deve ritenersi risarcibile, a carico del conducente del veicolo, anche il pregiudizio all'integrità fisica che il trasportato abbia subito in conseguenza dell'incidente, tenuto conto che il comportamento dello stesso, nell'ambito dell'indicata cooperazione, non può valere ad interrompere il nesso causale fra la condotta del conducente ed il danno, né ad integrare un valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili. A stabilirlo è la Cassazione con ordinanza 10 giugno 2020, n. 11095.Risarcimento del passeggero per incidente senza cinture di sicurezza

 

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